Iva, la regolarità dei documenti salva il cedente

10 Ottobre 2017

Il Sole 24 Ore 21 Settembre 2017 di Laura Ambrosi

Cassazione. Nella vendita a cessionari esteri la buona fede esclude la partecipazione alla frode

Nella vendita di beni a cessionari esteri, successivamente ritenuta fraudolenta, la buona fede del cedente va valutata sotto un profilo soggettivo. In sostanza, in presenza della regolarità documentale dell’operazione, il venditore viene a trovarsi in una situazione soggettiva di buona fede. Pertanto, se intende recuperare nei suoi confronti l’Iva sulle cessioni, l’ufficio deve fornire elementi convincenti addossandosi l’onere probatorio. A precisarlo è la Corte di cassazione con la sentenza 21740/2017 depositata ieri.
Un ufficio aveva recuperato l’Iva nei confronti di una Srl per le vendite di orologi a cessionari esteri extra Ue. I beni erano stati venduti a una persona italiana che si presentava come agente dei soggetti esteri e che curava il loro trasporto e gli adempimenti relativi all’esportazione.
Tuttavia emergeva che lo spedizioniere doganale, che aveva predisposto la documentazione di esportazione con il “visto uscire”, non era a conoscenza delle modalità di trasporto delle merci dopo la loro uscita dalla dogana e l’intermediario non aveva ricevuto alcun compenso dai cessionari esteri. Da qui la riqualificazione delle operazioni in cessioni interne imponibili.
Sia la Commissione tributaria provinciale che la regionale hanno ritenuto illegittima la pretesa dell’ufficio, in quanto il coinvolgimento del cedente nella frode non era stato provato stante la regolarità documentale dell’operazione che non poteva generare sospetti di illeciti in capo al venditore.
Nel ricorso per Cassazione l’Agenzia ha lamentato che la Ctr avesse erroneamente addossato sul fisco l’onere probatorio senza invece considerare gli elementi di anomalia riscontrabili nelle operazioni (verosimilmente la ripetuta presenza del medesimo intermediario italiano). Tali elementi avrebbero imposto a carico della società venditrice la prova della buona fede.
Secondo la Suprema corte, che ha respinto il ricorso, la Ctr si è posta correttamente dal punto di vista del cedente, ritenendo che quest’ultimo si trovasse in una situazione soggettiva di buona fede. Le risultanze istruttorie infatti, non autorizzavano l’illazione che sapesse – o che avrebbe dovuto sapere – della partecipazione agli illeciti stante anche il rispetto della regolarità documentale delle operazioni.

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