Il traffico d’oro tra Italia e Svizzera: il nuovo boom di operazioni clandestine

8 Luglio 2025

Il Sole 24 Ore 21 Giugno 2025  di Stefano Elli

Tensioni e guerre spingono gli affari del mercato nero sul metallo giallo

Berna.  La sede dell’Ufficio Federale della Dogana e della Sicurezza dei Confini

Nascondeva l’oro rubato nell’increspata capigliatura rasta, certo che nessuno vi si sarebbe mai avventurato per perquisirla. “Prelevava” il metallo dall’azienda di raffinazione del mendrisiotto (Svizzera, Canton Ticino) in cui lavorava come frontaliere. Una volta varcato il confine, scioglieva le treccine, staccava le lamine d’oro e le posava sui banconi dei compro oro italiani. Andava avanti così da anni: due chili d’oro in totale. Mal contati 150mila euro.

L’ultimo viaggio del rasta lariano si è interrotto con l’intervento degli agenti del commissariato di Rho Pero che, durante un controllo in un compro oro locale, si sono imbattuti nell’uomo e hanno scoperto tutto. La vicenda del Rasta (quantomai pittoresca) si inserisce in un contesto generale che vede i traffici di oro tra l’Italia e la Svizzera, leciti o meno, intensificarsi anno dopo anno.

È ancora in pieno svolgimento l’inchiesta, partita dai Nuclei di Polizia economico finanziaria della Gdf di Torino e di Como, in seguito “doppiata” dall’Ufficio Federale della Dogana e della Sicurezza dei Confini Svizzero, su un giro di contrabbando d’oro che in un quinquennio ha portato all’esportazione clandestina di 7 tonnellate d’oro. Un solo cittadino italiano risulta indagato dalle autorità svizzere, ma la rete di spalloni operativa sia sul confine del Verbano sia dei valichi comaschi era assai più vasta e articolata. Le cronache ticinesi (e comasche) sono sempre ricche di storie e e di casi che vedono al centro giri di spalloni e di autovetture modificate da carrozzerie specializzate nel creare vani clandestini atti a occultarvi lamine, lingotti e altra oggettistica di valore. Noto il caso di tre pensionati della provincia di Como di età variabile tra i 76 e i 79 anni pizzicati dalla Guardia di Finanza locale: avevano fondato una fiorente attività di esportazione clandestina di oro e preziosi che andava avanti da anni. Esito: sequestro di 14 lingotti, oltre 150 monete d’oro, denaro contante e un’ottantina di lamine d’oro per un controvalore di centinaia di migliaia di euro.

E ancora sull’oro (questa volta solo millantato) era basata una truffa messa in scena dalla Swiss Gold Treuhand quantificata in 84 milioni di franchi svizzeri (800 le vittime svizzere, tedesche ed austriache): i procacciatori facevano credere alle vittime di investire in oro grezzo proveniente dal Mali che sarebbe stato fuso in due raffinerie del Ticino con sedi a Bedano e a Rancate. Tutto falso. La promessa iniziale era di rendimenti minimi del 5% annuo. Uno scherzo rispetto ai valori attuali raggiunti dal metallo giallo. Ora sulla vicenda sta indagando il procuratore pubblico di Lugano.

Tutto questo accade in un fase paradossale in cui all’euforia per il nuovo che avanza (valute digitali, criptoasset, blockchain, Non fungible token), fa da contrappunto la riscoperta del caro vecchio lingotto: come in un recupero di concretezza e solidità, anche psicologica. A questo si aggiungano la situazione geopolitica e le escalation militari in Europa e in Medio Oriente che stanno provocando una crescita del valore di scambio del metallo giallo tanto che recenti stime di Goldman Sachs parlano di un’oncia a 4mila dollari nel 2026. Un crescendo di operatività notato anche dall’Unità di informazione finanziaria, branch anti riciclaggio di Banca d’Italia, che nell’ultimo rapporto presentato dal direttore Enzo Serata ha quantificato le operazioni in oro dichiarate dagli operatori del settore in 557,9 tonnellate. L’anno precedente erano state 467,5. E viene da chiedersi a quanto ammontino quelle che non sono state dichiarate affatto.

 

Doing business in San Marino

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