Il marchio ceduto non è ramo d’azienda
9 Settembre 2025
Il Sole 24 Ore 21 Agosto 2025 di Alessandro Germani
Ai fini Iva viene confermato che la cessione di marchi, anche se accompagnati da diritti IP (proprietà intellettuale) collegati, non costituisce ramo d’azienda e rileva ai fini del tributo. A livello di transfer pricing poi gli aggiustamenti di prezzo collegati a determinate transazioni rilevano anch’essi.
Nella risposta 210 del 19 agosto viene interrotto un contratto di licenza per acquisire il relativo marchio e i diritti IP collegati e l’istante si domanda se si tratti di una cessione di azienda/ramo, come tale esclusa dal tributo, o di una prestazione di servizi imponibile Iva (con il registro in misura fissa per il principio di alternatività). Nel confermare quest’ultima tesi e nel richiamare i precedenti unionali e di prassi amministrativa sulla nozione di azienda e di ramo, le Entrate evidenziano i driver per capire come vada inquadrata l’operazione. Non si tratta infatti di ramo perché sono ceduti degli asset isolati, non c’è passaggio di personale, non sono cedute le relazioni finanziarie, commerciali e personali né ci sono subentri. Il marchio quindi si configura come un servizio la cui cessione è imponibile ex articolo 3 del Dpr 633/72. Ciò vale anche nel caso in cui con esso si cedano i diritti IP collegati per lo sfruttamento del marchio stesso.
La risposta 214 riguarda degli aggiustamenti di Tp fra società del medesimo gruppo effettuati a livello trimestrale per adeguarsi alle risultanze del metodo del Tnmm (transactional net margin method) utilizzato mediante il Ros (reddito operativo/vendite) per verificare che il prezzo operato sia di libera concorrenza. Il caso di specie appare piuttosto laborioso in quanto gli aggiustamenti sono effettuati su base trimestrale, quando nella prassi generalmente sono effettuati su base annua a consuntivo. Sulla base dei risultati a quel punto scatterà una variazione in aumento o in diminuzione entro 45 giorni dalla fine del trimestre di riferimento. Occorre quindi comprendere se gli aggiustamenti siano rilevanti ai fini Iva, il che determina in acquisto la detrazione dell’Iva, che le Entrate avevano contestato in accertamento. L’Agenzia richiama il Working Paper n. 923 del 2017 della Commissione Europea e il documento del 18 aprile 2018 n. 081 REV2 del VAT Expert Group. In base a tali pronunce gli aggiustamenti sono generalmente esclusi da Iva, a meno che non si configurino come variazione di corrispettivo e siano collegati direttamente alla fornitura iniziale. La stessa Agenzia nella risposta 60/18 e 529/21 ha evidenziato per la rilevanza Iva i seguenti tre elementi:
onerosità dell’operazione;
individuazione dell’operazione a cui si riferisce il corrispettivo;
collegamento diretto.
Nel caso di specie sono effettuati aggiustamenti periodici in base al Tnmm con variazioni in aumento o in diminuzione, vi è un documento ( breakdown) da cui si evincono gli aggiustamenti e le operazioni a cui essi si riferiscono, motivo per cui c’è un collegamento diretto. L’operazione rileva quindi ai fini Iva come non imponibile, oppure con emissione di autofattura in caso di acquisti di beni in Italia da soggetto non residente.