Il legame commerciale non prova la colpa

10 Dicembre 2019

Il Sole 24 Ore lunedì 25 NOVEMBRE 2019 di Marcello Maria De Vito

IVA

L’ufficio può bloccare la detraibilità solo se dimostra il dolo del titolare

L’ufficio può negare la detraibilità dell’Iva per operazioni soggettivamente inesistenti solo se prova che il contribuente sapeva o poteva sapere della frode. La prova del dolo o della colpa del soggetto che chiede la detrazione, non può essere sostituita con l’assunzione di una responsabilità oggettiva derivante dalla relazione commerciale, salvo che la modalità di tale relazione provino la malafede dei contraenti. Inoltre, il principio dell’autonomia tra processo tributario e penale, non osta al fatto che il giudice tributario possa valutare e fondare il proprio convincimento anche sugli aspetti vagliati dal giudice penale. Sono questi i principi affermati dalla Ctr Campania 4245/14/2019 (presidente Cortese, relatore Mancuso).

L’agenzia delle Entrate contestava a una società l’acquisto di merci soggettivamente inesistenti poichè vari elementi dimostravano che la società fosse a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza. La società impugnava l’atto davanti la Ctp, sottolineando l’assenza della prova in merito alla conoscenza o conoscibilità della frode. La Ctp accoglieva il ricorso ritenendo che gli elementi raccolti non consentissero il diniego di detrazione.

L’Agenzia appellava la sentenza, deducendo la conoscenza o conoscibilità della frode per i seguenti elementi:

la società aveva commissionato delle indagini dalle quali risultava che il fornitore era privo di risorse finanziarie;

aveva stipulato un’assicurazione a copertura del rischio di mancata consegna delle merci.

L’amministrazione, inoltre, criticava che la Ctp avesse accolto il ricorso sulla scorta dei provvedimenti assunti dal giudice penale, violando, in tal modo, il principio di autonomia tra i due processi.

La Ctr osserva che è possibile negare la detraibilità dell’Iva per operazioni soggettivamente inesistenti se è dimostrato, anche in via presuntiva, che il contribuente sapeva o poteva sapere della frode. La prova del dolo o della colpa, però, non può essere sostituita con l’assunzione di una responsabilità oggettiva derivante dalla relazione commerciale, salvo che le modalità di tale relazione non provino la malafede dei contraenti. Nel caso di specie la società ha dimostrato:

la consegna della merce e il pagamento del prezzo;

l’esistenza di acquisti con vari fornitori;

lo scarto percentuale modesto tra i prezzi delle merci contestate e quelli praticati da altri fornitori.

Tali elementi, conclude la Ctr, non fanno emergere la consapevolezza della società di partecipare alla frode. Sull’autonomia tra processo tributario e quello penale, invece, la Ctr precisa che il principio della separazione tra i processi, non consente affatto di negare al giudice tributario la possibilità di valutare e fondare il proprio convincimento anche sugli aspetti vagliati dal giudice penale. Pertanto, conclude la Ctr, l’appello va rigettato.

In linea con quanto affermato dai giudici, è consolidato il principio secondo il quale il giudice tributario può esaminare il contenuto delle prove acquisite nel procedimento e nel processo penale, ricostruendo il fatto in virtù delle stesse circostanze già oggetto di esame da parte del giudice penale, purché venga posto in essere un distinto procedimento valutativo degli elementi probatori secondo le regole vigenti in campo tributario (Cassazione 6918/2013).

Doing business in San Marino

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