Il leasing dell’imbarcazione da diporto non è abuso del diritto

8 Maggio 2019

Il Sole 24 Ore 16 Aprile 2019 – Quotidiano del Fisco – di Giacomo Albano

Non c’è abuso del diritto nella scelta di acquisire un’imbarcazione da diporto attraverso un contratto di leasing nautico in luogo della compravendita, anche quando alcuni parametri contrattuali (maxicanone, durata, riscatto) appaiono atipici rispetto ad altri comparti del leasing.

Il principio – già rinvenibile in numerose sentenze di merito – è stato accolto dalla quinta sezione della Cassazione che, con la sentenza 9591/2019 dello scorso 5 aprile, ha respinto il ricorso dell’Avvocatura dello Stato, confermando la sentenza della Ctr Veneto. Si tratta della prima pronuncia della Suprema Corte sull’applicazione dell’abuso del diritto nel leasing nautico, che interviene su un contenzioso che va avanti da circa 10 anni e che ha finora visto l’amministrazione finanziaria quasi sempre soccombente nei giudizi di merito.
Il contenzioso sull’abuso del diritto nel leasing nautico trae origine da una verifica generalizzata operata dalle Direzioni Regionali nel 2008 sulle operazioni di leasing su imbarcazioni da diporto. Ad esito della verifica, le Entrate hanno proceduto alla riqualificazione di tutti quei contratti di leasing nautico le cui previsioni contrattuali presentassero degli “indicatori di anomalia” tali da far presupporre un intento elusivo e, quindi, legittimare la riqualificazione del leasing, ai fini tributari, in una compravendita.

Gli indicatori di anomalia erano identificabili in:
•maxicanone troppo elevato,
•durata contrattuale eccessivamente breve,
•prezzo di riscatto estremamente ridotto,
•presenza di garanzie tali da annullare o ridurre eccessivamente il rischio creditizio.

A giudizio delle Entrate, la presenza di tali parametri contrattuali portava a ritenere che le parti avessero “mascherato” secondo lo schema del leasing una cessione di bene, qualificata come locazione finanziaria unicamente in base alla convenienza fiscale legata al meccanismo dell’Iva forfettaria; questa prevedeva (e tuttora prevede) per le operazioni di leasing nautico l’assoggettamento ad Iva solo in proporzione all’utilizzo della barca nelle acque comunitarie. Tenuto conto della difficoltà a seguire gli spostamenti delle imbarcazioni, le stesse Entrate avevano stabilito delle percentuali presuntive di utilizzo al di fuori della Ue basate sul principio per cui più è lunga l’imbarcazione, maggiore è l’utilizzo presunto della stessa al di fuori dei mari europei e minore è l’Iva dovuta (meccanismo, peraltro, oggi oggetto di una procedura di infrazione Ue).

 

 

 

 

In tale contesto, si innesta anche la sentenza qui in commento. I giudici della Ctr avevano riconosciuto che la presenza di un maxicanone elevato, di una durata ridotta e di un prezzo di riscatto esiguo non configurano comportamenti abusivi, ma sono giustificabili nel leasing nautico, anche in virtù delle esigenze delle società di leasing di limitare il rischio creditizio.
Le motivazioni dei giudici regionali sono state ritenute esaustive dalla Suprema corte, che ha altresì ritenuto inammissibile l’altro motivo del ricorso, ovvero la richiesta di interpretare il negozio giuridico quale compravendita dell’imbarcazione anziché leasing nautico.

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