Frodi Iva, il destinatario si presume in buona fede

14 Settembre 2021

Il Sole 24 Ore 18 agosto 2021 di Laura Ambrosi Antonio Iorio

Per la Cassazione va provata la consapevolezza di evadere l’imposta

Per la contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione deve provare, anche se in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta.

A confermare il principio è la Cassazione, con l’ordinanza 22969/2021 depositata ieri. La pronuncia è importante perché concerne contestazioni molto diffuse: in presenza di cessioni e/o prestazioni realmente avvenute, se il fornitore ha commesso delle violazioni (omesso versamento d’imposte, assenza di struttura idonea eccetera) l’Agenzia, pressochè automaticamente, ritiene responsabile anche l’acquirente, riprendendo a tassazione l’Iva detratta. Salvo che l’acquirente non fornisca prova della sua buona fede, che normalmente non viene riconosciuta dagli Uffici con la conseguente necessità di intraprendere un contenzioso.

La sentenza, oltre a ribadire che l’onere probatorio in queste ipotesi incombe sul fisco e che occorre tutelare la buona fede del contribuente acquirente, ha condannato l’Agenzia, che ha proseguito il contenzioso nonostante la ripetuta soccombenza nei gradi di merito, al pagamento delle spese legali.

Nella specie, l’ufficio contestava a una società l’indebita detrazione Iva per l’asserita consapevole contabilizzazione di fatture soggettivamente inesistenti. Sia in primo grado, sia in appello la rettifica era annullata per difetto di motivazione circa la consapevole partecipazione della società agli illeciti di chi aveva emesso le fatture. Nonostante la doppia soccombenza, l’ufficio ricorreva per Cassazione.

I giudici di legittimità hanno confermato la decisione favorevole al contribuente. Secondo la Cassazione, in tema di Iva quando l’amministrazione ritenga sussistenti operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti ha l’onere di fornire elementi probatori sul fatto che l’operazione non sia stata effettuata, o sia stata emessa, da un soggetto non controparte. In relazione, poi, alle operazioni soggettivamente inesistenti, sorge la tutela della buona fede del contribuente anche in applicazione della giurisprudenza Ue e, a tal fine, l’ufficio ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in un’evasione di imposta.

In sostanza occorrono indizi sul fatto che il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale o che comunque egli disponeva di indizi idonei a porre nell’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente. Nella specie tali elementi erano del tutto assenti e pertanto la Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia.

Si spera che ulteriori pronunce della specie (e condanne alle spese legali) possano far soprassedere gli uffici da contestazioni analoghe, spesso immotivate, che comportano oneri significativi in capo ai contribuenti i quali, di sovente, hanno la sola colpa di aver intrattenuto rapporti con fornitori poi rivelatisi evasori fiscali, senza ottenere comunque alcun beneficio.

Doing business in San Marino

Scarica ora il libro in formato PDF

Scarica
Get in touch
x
x

Share to:

Copy link:

Copied to clipboard Copy