False fatture, concorso dei membri del cda solo se hanno avuto conoscenza del reato

8 Agosto 2023

Il Sole 24 Ore 19 luglio 2023 di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Per la responsabilità dei manager mutuato l’indirizzo sulla bancarotta

Necessario provare anche la volontà di non attivarsi per scongiurare l’evento

La decisione.  Escluso l’automatismo

I membri del cda che non hanno sottoscritto la dichiarazione fraudolenta con false fatture, rispondono in concorso del reato con l’amministratore che l’ha firmata, solo se hanno avuto conoscenza dell’illecito e non si siano attivati per impedire l’indicazione dei falsi documenti o la sua presentazione. È questo, in sintesi, l’interessante principio che emerge dalla sentenza n.31017 della Corte di cassazione (sezione III penale) depositata ieri.

La pronuncia concerne una casistica molto diffusa (praticamente tutti i casi di dichiarazioni fraudolente ascrivibili a società dotate di consiglio di amministrazione) ma che registra rarissime sentenze di legittimità.

A una srl veniva contestato l’utilizzo in dichiarazione di fatture soggettivamente inesistenti. Nel procedimento penale venivano coinvolti per violazione dell’articolo 2 del Dlgs 74/2000, non solo l’amministratore che aveva sottoscritto la dichiarazione, ma anche gli altri due membri del cda dotati di poteri sociali disgiunti differenti.

Dopo la condanna nei gradi di merito, i due amministratori ricorrevano in Cassazione lamentando, tra l’altro, che la sentenza di condanna si era limitata a valorizzare solo il dato della loro carica, senza valutare la loro estraneità rispetto alle vicende e quindi alla sottoscrizione della dichiarazione.

La Suprema Corte, dopo aver rilevato la presenza di un solo precedente specifico in tema di reati tributari, ha ritenuto di mutuare l’orientamento (consolidato) espresso con riferimento ai reati di bancarotta. In sostanza, la responsabilità degli amministratori, privi di delega, per omesso impedimento dell’evento, è configurabile ove sia provata:

l’effettiva conoscenza dei fatti pregiudizievoli o quanto meno di segnali di allarme;

la volontà di non attivarsi per scongiurare detto evento.

Di conseguenza, anche ai fini penali tributari, gli amministratori di una società, che non abbiano sottoscritto una dichiarazione fiscale fraudolenta, avendovi provveduto il consigliere all’uopo delegato, concorrono nel reato solo ove siano stati a conoscenza dell’inserimento di tali documenti mendaci in contabilità e, ciononostante, non si siano attivati per impedire la loro indicazione in dichiarazione o la presentazione della stessa.

Per la sussistenza di tali circostanze non è sufficiente evidenziare, genericamente, il coinvolgimento degli amministratori nelle scelte gestionali, o ancora l’entità delle operazioni (nella specie circa il 10% del volume di affari), soprattutto in un’ipotesi, come quella al vaglio dei giudici, di fatture soggettivamente inesistenti e quindi di operazioni effettivamente avvenute. Sarebbero stati necessari in altre parole elementi idonei a provare il coinvolgimento degli amministratori che non avevano sottoscritto la dichiarazione.

Appare evidente dalla sentenza che vada escluso «in automatico» il concorso dei membri del cda nei reati dichiarativi, e, soprattutto la necessità di prove della loro consapevolezza dell’illecito che, volontariamente, hanno deciso di non impedire.

Si ritiene che tali circostanze debbano essere poi valutate rispetto al caso concreto. Ad esempio, la conoscenza degli amministratori di «segnali di allarme» in presenza di fatture oggettivamente inesistenti per importi rilevanti (che presuppongono presso l’azienda magazzini, trasporti, personale, che magari non esistono) è ovviamente più agevole rispetto ad acquisti soggettivamente inesistenti, in cui difficilmente l’amministratore ha consapevolezza della non coincidenza tra l’emittente il documento fiscale e il reale cedente dei beni. In via generale, poi, l’effettiva e seria adozione del sistema preventivo (ex Dlgs 231/2001) potrebbe rappresentare un importante strumento difensivo per evidenziare la volontà degli amministratori di prevenire qualsivoglia forma di illecito.

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