Due residenze e cittadinanze non fermano l’accertamento
12 Settembre 2022
Il Sole 24 Ore 12 agosto 2022 di Massimo Romeo
Dirimente la verifica sull’effettiva presenza e sulle attività svolte
Il possesso della doppia cittadinanza e della doppia residenza non elimina tout court la pretesa del fisco italiano. Un cittadino con cittadinanza e residenza italiana e ucraina, impugnava l’avviso di accertamento all’esito di un’ indagine delle Dogane relativa a spese non compatibili con la dichiarata assenza di redditi in Italia.
Fra i motivi, il ricorrente eccepiva la residenza fiscale in Ucraina e precisava che l’attività in Italia era solo a scopo perlustrativo. I giudici di prime cure accoglievano il ricorso osservando che la questione assorbente riguarda stabilire se il ricorrente fosse o meno residente in Italia; in tal senso, la Ctp riteneva che dalla documentazione prodotta risultava che il ricorrente (e il coniuge), non era residente in Italia, fatto dimostrato dal certificato doganale dei transiti. L’Ufficio, sia in primo grado che in fase di proposizione dell’appello, aveva precisato che se un soggetto non è residente paga in Italia solo per i redditi ivi prodotti, mentre se è residente paga per i redditi ovunque prodotti. Nel caso di specie, l’Agenzia puntualizzava che il ricorrente aveva: a) il centro degli interessi in Italia, b) la residenza italiana; c) conti correnti e una vettura intestata; d) investimenti patrimoniali effettuati dalla moglie.
La Ctr, pur con differente risultato, condivide il modus procedendi ritenendo che dirimente rispetto sia l’accertamento dell’assoggettabilità del ricorrente al sistema tributario italiano. Il Collegio osserva che, a prescindere dalle evidenze riscontrate dall’Ufficio come pure dalle contrapposte ragioni, a risolvere il contrasto interpretativo sul “se” e “quando” un soggetto debba considerarsi fiscalmente residente in Italia, è ancora intervenuta la Suprema corte che con l’ordinanza del 18 gennaio 2022 (n. 1355) ha stabilito che «le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano, in applicazione del criterio formale dettato dal Dpr 1986/917, articolo 2, in ogni caso residenti, e, pertanto, soggetti passivi d’imposta, in Italia; con la conseguenza che, ai fini predetti, essendo l’iscrizione indicata preclusiva di ogni ulteriore accertamento, il trasferimento della residenza all’estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dall’anagrafe di un Comune italiano».
Pertanto, considerato che il dato formale della residenza anagrafica in Italia non era stato contestato dal ricorrente, né risultava la stessa essere stata sospesa dall’iscrizione all’Aire, si doveva concludere che il contribuente fosse soggetto alla normativa tributaria del Paese di cui era anche cittadino (Italia). A fronte delle spese e degli investimenti accertati, il ricorrente non aveva contestato la correttezza delle imputazioni trincerandosi dietro a considerazioni poco plausibili (quali quelle afferenti agli oneri di casa) o a generici rinvii a prassi estere di poca presa (l’assenza, nell’ordinamento ucraino, di obblighi di tracciabilità delle movimentazioni di denaro).