Il coordinamento della holding non incide sull’esterovestizione
5 Luglio 2018
Il Sole 24 Ore domenica 3 GIUGNO 2018 di Enrico Holzmiller
Abuso del diritto. Va valutata l’«ordinaria amministrazione»
L’articolo 73, comma 3, del Tuir disciplina la figura dell’esterovestizione, disposizione fiscale tesa ad “attrarre” in Italia società ed enti residenti all’estero,laddove detengano, nel territorio dello Stato, almeno uno tra i seguenti tre elementi: sede legale, sede dell’amministrazione, oggetto principale dell’attività.
Il tema è delicato laddove i suddetti requisiti, ancorché formalmente definiti all’estero, vengano considerati, dall’Amministrazione finanziaria, esercitati “in concreto” sul suolo nazionale. In tale contesto si è mossa la Ctr Lombardia, con la sentenza n. 1807/18, depositata lo scorso 19 aprile (presidente e relatore: Izzi).
I giudici lombardi prendono posizione anzitutto sul concetto di «abuso del diritto di stabilimento», affermando che, affinchè sussista tale abuso, «non rilevano ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale».
Tale principio ha una duplice valenza: può essere letto nel senso che l’esterovestizione non va applicata laddove si riesca a provare l’inesistenza di vantaggi fiscali derivanti dalla localizzazione all’estero; per converso, secondo quanto confermato dalla Corte di giustizia europea, la scelta di avvalersi di una legislazione estera più vantaggiosa non può costituire, di per sé, abuso del diritto.
La Commissione tributaria affronta anche il tema della sede amministrativa, arrivando alla conclusione secondo cui «tale sede deve ritenersi coincidente con quella effettiva, intesa come luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative di direzione dell’ente, come la riunione del consiglio di amministrazione, ovvero il luogo deputato per l’accentramento degli organi e degli uffici societari in vista del compimento di affari e dell’impulso dell’attività dell’ente».
A parere di chi scrive, la posizione dei giudici va chiarita, evitando che parole come «direzione» e «impulso dell’attività» siano mal interpretate.
Ciò che in definitiva può permettere l’applicazione del principio dell’esterovestizione, attraverso la presunzione di processi decisionali effettuati in Italia, è da ricercarsi in quella che viene comunemente definita come “ordinaria amministrazione”.
In concreto, l’esistenza di processi decisionali quotidiani può essere verificata attraverso il cosiddetto “business activity test”, che a sua volta si esplica nell’analisi della regolarità dell’attività aziendale nel paese straniero, la verifica delle deleghe ad operare “day by day”, la tenuta in loco delle riunione del Cda, della gestione dei dipendenti, e così via. Non può invece considerarsi «fiscalmente attrattiva» l’attività di direzione e coordinamento esercitata da una società italiana sulla branch straniera, unitamente alla fisiologica ingerenza tipica delle holding nei confronti delle società partecipate (in tal senso: Tribunale Milano, sentenza n. 6996/17).