Caccia alle «carte» per evitare l’accusa
5 Aprile 2017
Il Sole 24 Ore 04 Marzo 2017 di Antonio Iorio
Come ci si difende. Dalle locazioni alle ricevute: nei paesi black list tocca al contribuente fornire la prova contraria
Il rilevamento da parte dell’amministrazione dei nominativi di coloro che risultano emigrati in Paesi esteri, più o meno a fiscalità privilegiata, non rappresenta una nuova iniziativa. Sin dal 1999 la Direzione accertamento concludeva la circolare 140/E precisando che «allo scopo di integrare l’attività di ricerca … si fa riserva di trasmettere ulteriori elenchi selettivi relativi a cittadini italiani anagraficamente emigrati negli Stati e territori individuati dal decreto 4/5/99».
Gli spunti difensivi in caso di controlli volti a contestare la fittizia residenza all’estero, presuppongono, innanzitutto, la verifica della presenza, o meno, dello Stato estero in questione nella black list.
Non è detto infatti che l’attenzione dei verificatori si concentri esclusivamente verso i Paesi black list; i controlli possono riguardare anche casi di residenze in Stati non considerati paradisi fiscali.
Stati non black list
In questa ipotesi l’onere di dimostrare la fittizia residenza ricade sull’amministrazione la quale generalmente tenta di:
provare che il contribuente sia stato presente in Italia per più di 183 giorni in un anno attraverso l’esame degli estratti conto delle carte di credito, i pernottamenti in hotel, gli impegni lavorativi, i telepass autostradali, eccetera;
verificare la presenza di unità immobiliari in Italia, atti di donazione, compravendita, costituzione di società; nonché significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo nel nostro Paese, ritenendoli indizi idonei a sostenere che il centro degli interessi affettivi e/o economici sia comunque rimasto in Italia.
Va da sé che mentre la presenza obiettiva in Italia per più di 183 giorni rappresenti una prova insormontabile a favore dell’amministrazione, negli altri casi occorrerà dimostrare una reale e duratura localizzazione nel paese estero con indizi e circostanze di fatto che in qualche modo siano prevalenti rispetto alle contestazioni del fisco. In tale contesto, si segnala da ultimo, quanto precisato dalla Suprema Corte nella sentenza 5388 depositata ieri, secondo cui, il giudice di merito chiamato a valutare la effettiva residenza all’estero deve considerare anche la stipula di un contratto di locazione di un immobile nello Stato estero da parte del contribuente.
Stati black list
In questa ipotesi l’amministrazione, in applicazione del comma 2 bis dell’articolo 2 del Tuir si avvale di una presunzione legale relativa, la cui prova contraria incombe sul contribuente. I verificatori, quindi, si limiteranno a rilevare il trasferimento in uno Stato a fiscalità agevolata della residenza del contribuente e chiederanno al contribuente, onde evitare la tassazione in Italia dei redditi ovunque prodotti, di dimostrare l’effettiva residenza nel Paese estero. Di norma, la contestazione riguarda vari periodi di imposta e quindi il contribuente dovrà fornire elementi di prova contraria per ciascun anno. Si tratta della produzione di ogni utile indizio per dimostrare una reale e duratura localizzazione nel paese estero.
È il caso della sussistenza della dimora abituale sia personale, sia dell’eventuale famiglia; della frequenza dei figli presso istituti scolastici esteri, dello svolgimento di un rapporto lavorativo continuativo o di un’attività con carattere di stabilità; della stipula di contratti di acquisto o locazione di immobili residenziali, delle fatture ricevute per erogazione di gas, energia elettrica, telefono, pagati nel paese estero; della movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel medesimo Stato estero.
Gli spunti difensivi in caso di controlli volti a contestare la fittizia residenza all’estero, presuppongono, innanzitutto, la verifica della presenza, o meno, dello Stato estero in questione nella black list.
Non è detto infatti che l’attenzione dei verificatori si concentri esclusivamente verso i Paesi black list; i controlli possono riguardare anche casi di residenze in Stati non considerati paradisi fiscali.
Stati non black list
In questa ipotesi l’onere di dimostrare la fittizia residenza ricade sull’amministrazione la quale generalmente tenta di:
provare che il contribuente sia stato presente in Italia per più di 183 giorni in un anno attraverso l’esame degli estratti conto delle carte di credito, i pernottamenti in hotel, gli impegni lavorativi, i telepass autostradali, eccetera;
verificare la presenza di unità immobiliari in Italia, atti di donazione, compravendita, costituzione di società; nonché significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo nel nostro Paese, ritenendoli indizi idonei a sostenere che il centro degli interessi affettivi e/o economici sia comunque rimasto in Italia.
Va da sé che mentre la presenza obiettiva in Italia per più di 183 giorni rappresenti una prova insormontabile a favore dell’amministrazione, negli altri casi occorrerà dimostrare una reale e duratura localizzazione nel paese estero con indizi e circostanze di fatto che in qualche modo siano prevalenti rispetto alle contestazioni del fisco. In tale contesto, si segnala da ultimo, quanto precisato dalla Suprema Corte nella sentenza 5388 depositata ieri, secondo cui, il giudice di merito chiamato a valutare la effettiva residenza all’estero deve considerare anche la stipula di un contratto di locazione di un immobile nello Stato estero da parte del contribuente.
Stati black list
In questa ipotesi l’amministrazione, in applicazione del comma 2 bis dell’articolo 2 del Tuir si avvale di una presunzione legale relativa, la cui prova contraria incombe sul contribuente. I verificatori, quindi, si limiteranno a rilevare il trasferimento in uno Stato a fiscalità agevolata della residenza del contribuente e chiederanno al contribuente, onde evitare la tassazione in Italia dei redditi ovunque prodotti, di dimostrare l’effettiva residenza nel Paese estero. Di norma, la contestazione riguarda vari periodi di imposta e quindi il contribuente dovrà fornire elementi di prova contraria per ciascun anno. Si tratta della produzione di ogni utile indizio per dimostrare una reale e duratura localizzazione nel paese estero.
È il caso della sussistenza della dimora abituale sia personale, sia dell’eventuale famiglia; della frequenza dei figli presso istituti scolastici esteri, dello svolgimento di un rapporto lavorativo continuativo o di un’attività con carattere di stabilità; della stipula di contratti di acquisto o locazione di immobili residenziali, delle fatture ricevute per erogazione di gas, energia elettrica, telefono, pagati nel paese estero; della movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel medesimo Stato estero.