Attività sui conti, no alle presunzioni

11 Maggio 2018

Il Sole 24 Or e 24 Aprile 2018 di Salvina Morina e Tonino Morina

Cassazione. L’imputabilità a una società di versamenti personali deve essere provata

Il Fisco perde in primo grado, in secondo grado e in Cassazione. E meno male che dopo non ci sono altri gradi di giudizio. Per la Cassazione, deve essere annullato l’accertamento dell’ufficio, relativo all’anno 2002, che non ha provato in alcun modo che i versamenti rilevati sui conti personali del socio e della figlia fossero effettivamente riferibili alla società (ordinanza 9212/2018, depositata il 13 aprile 2018). Dopo tre bocciature e dopo oltre dieci anni, il Fisco non incassa nulla e viene anche condannato al pagamento delle spese che la Cassazione liquida in 6mila euro per compensi, più 200 euro per esborsi e il 15% a titolo di spese forfettarie. Ecco i fatti.
L’agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Campobasso, a seguito di una verifica fiscale ad una società a responsabilità limitata, con conseguente indagine bancaria sui conti correnti dell’amministratore della società e della figlia dell’amministratore, accerta per l’anno 2002 maggiore imponibile a titolo di Irpeg (l’allora imposta sul reddito delle persone giuridiche), Iva e Irap. Per l’ufficio, non erano state adeguatamente giustificate le movimentazioni bancarie.
Contro l’accertamento, la società presenta il ricorso che viene accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, con conseguente annullamento dell’atto dell’ufficio. Contro la sentenza dei giudici di primo grado, l’ufficio presenta l’appello che viene respinto dalla Commissione tributaria regionale del Molise, in quanto, per i giudici di secondo grado, l’ufficio non ha «adeguatamente provato che i movimenti considerati sui conti esaminati fossero riferibili alla società».
Contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise, l’ufficio, ostinatamente, presenta il ricorso in Cassazione al quale la società replica con controricorso. L’ufficio riesce così a subìre la terza bocciatura, perché anche la Cassazione rigetta il ricorso dell’ufficio. Per i giudici di legittimità, al fine di contestare la fittizietà dei conti bancari a terzi, è sempre «necessario che l’Agenzia provi che i conti, se pure a costoro intestati nella realtà, siano comunque utilizzati, anche in parte, per operazioni riferibili alla contribuente anche tramite presunzioni, sia pure senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali (in termini, tra varie, Cassazione 21 aprile 2016, n. 8112, 13 giugno 2014, n. 13473)».
L’onere di provare che le risultanze dei conti dei terzi sono riconducibili al soggetto indagato incombe sull’amministrazione finanziaria. L’ufficio, nel caso in esame, «non ha dedotto elementi atti a consentire di affermare che i movimenti rilevati sui conti personali dell’amministratore e della figlia, della quale non è chiarita la qualità in seno alla società, fossero effettivamente riferibili a questa». In conclusione, la Cassazione, confermando le bocciature dei giudici di merito, di primo e secondo grado, rigetta il ricorso dell’ufficio.

Doing business in San Marino

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