Abuso di potere se i soci perseguono interessi personali

10 Luglio 2017

Il Sole 24 Ore 15 Giugno 2017 di Antonino Porracciolo

Tribunale di Roma. Maggioranza in Srl

Si ha abuso di potere dei soci di maggioranza se le delibere perseguono un interesse personale dei medesimi soci in contrasto con quello della società oppure quando si mira a danneggiare i soci di minoranza. Lo ricorda il Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia di imprese (presidente Mannino, relatore Romano), in una sentenza dello scorso 31 marzo.
A rivolgersi al giudice sono stati i soci di minoranza di una Srl per ottenere l’annullamento di una delibera con cui era stato votato l’azzeramento del capitale sociale e il contestuale aumento dello stesso a 500mila euro. Secondo gli attori, l’operazione aveva lo scopo di escluderli dalla compagine sociale, giacché, per mantenere intatta la loro partecipazione (pari al 43%), avrebbero dovuto sottoscrivere quote per 215mila euro. Dal canto suo, la Srl ha contestato la domanda e ne ha chiesto il rigetto.
Nel respingere l’impugnazione, il Tribunale osserva, innanzitutto, che «nel nostro ordinamento societario non esiste una norma che identifichi espressamente una fattispecie di abuso nelle deliberazioni assembleari». Tuttavia, considerando la società come contratto, i soci devono eseguire l’accordo secondo le regole di buona fede e correttezza previste dagli articoli 1175 e 1375 del Codice civile. Princìpi, questi, che costituiscono «il fondamento – si legge nella sentenza – per riconoscere la figura dell’abuso di potere quale elemento invalidante le deliberazioni assembleari finalizzate esclusivamente a favorire la maggioranza a danno della minoranza».
In base a queste regole – prosegue il Tribunale, citando la sentenza 27387/2005 della Cassazione – l’abuso di potere è causa di annullamento delle delibere quando il voto «non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società e costituisca una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società»: il che si verifica quando la delibera persegue un interesse personale dei soci di maggioranza contrapposto a quello sociale oppure mira a ledere i diritti patrimoniali e di partecipazione dei soci di minoranza. A parte queste ipotesi, «resta preclusa – continua la sentenza – ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza a esprimere il proprio voto».
Inoltre, il merito della delibera impugnata può essere esaminato «solo in presenza di indici oggettivi che consentano di sospettare la violazione di vincoli» previsti dall’ordinamento. E l’onere di dimostrare tale violazione grava sulla parte che afferma l’illegittimità della delibera, fermo restando che la prova non è limitata a elementi che si sono manifestati prima del voto, ma può riguardare anche «comportamenti o indizi cronologicamente successivi».
Nel caso in esame, il Tribunale rileva che le perdite della società ne avevano azzerato il capitale, il che rendeva «legittima la scelta dell’assemblea di procedere all’operazione sul capitale»; peraltro, si trattava di una decisione che «consentiva alla società di evitare l’avvio della procedura di liquidazione». Quanto all’entità dell’aumento, le contestazioni dei soci attori erano generiche, e comunque la società aveva dimostrato che erano in corso trattative per un progetto di ripresa dell’attività.
Per queste ragioni il Tribunale ha quindi confermato la delibera impugnata.

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