Il fornitore paga il conto Iva per il falso esportatore abituale

13 Dicembre 2018

Il Sole 24 Ore 11 OTTOBRE 2018 di Rosanna Acierno

OPERAZIONI CON L’ESTERO

Contestata la responsabilità anche se si è ignari dell’intento fraudolento

Confermato ieri dal governo che il protocollo di ricezione non è un’autorizzazione

Operazioni con gli esportatori abituali nel mirino del Fisco. Sempre più di frequente, infatti, le verifiche da parte della Guardia di finanza e dell’agenzia delle Entrate si concentrano sulle cessioni effettuate nei confronti degli operatori commerciali che invocano il diritto all’acquisto senza addebito dell’Iva attraverso lettere di intento.
L’articolo 8 del Dpr 633/72 consente agli operatori commerciali che nell’anno solare o nei 12 mesi precedenti hanno effettuato cessioni all’esportazione superiori al 10% del volume d’affari dello stesso periodo («plafond»), di acquistare beni e/o servizi senza l’applicazione dell’Iva per evitare che i contribuenti, in qualità di esportatori abituali, si trovino sempre a credito di imposta. A tal fine, se fino al 31 dicembre 2014 era sufficiente che l’esportatore abituale presentasse al fornitore una mera lettera di intento, dal 2015, invece, è stato previsto in capo allo stesso l’obbligo di presentare al fornitore, unitamente alla dichiarazione di intento, anche la relativa ricevuta di trasmissione alle Entrate (articolo 20 Dlgs 175/2014). Tuttavia, nonostante la stretta sugli obblighi in capo agli esportatori abituali, sono ancora molte le frodi ideate proprio da alcuni operatori che presentano a fornitori “false lettere di intento” senza avere i requisiti per essere considerati esportatori abituali o “lettere di intento ideologicamente false” laddove, pur avendo effettuato nell’anno precedente operazioni utili alla costituzione del plafond, acquistano la merce in esenzione Iva non per esportarla, ma per venderla nel mercato interno a prezzi inferiori rispetto a quelli generalmente praticati. Questo peraltro anche alla luce della circostanza, emersa proprio ieri in sede di risposta fornita dal governo a una interrogazione parlamentare, che a oggi il protocollo di ricezione rilasciato dalle Entrate non equivale a un’autorizzazione e non presume alcun controllo preventivo sull’eventuale plafond disponibile o sulla reale qualifica di esportatore abituale. In questi casi, scoperta la frode, non riuscendo più a rivalersi sui finti esportatori perché, spesso, risultano essere cartiere che nel frattempo hanno cessato l’attività, il Fisco presenta il conto dell’Iva non addebitata in fattura ai fornitori che, ignari del piano evasivo, non capiscono le ragioni della pretesa erariale laddove per la merce venduta hanno ricevuto puntuali pagamenti mediante mezzi tracciabili.
In particolare, le contestazioni dei verificatori nei confronti dei fornitori muovono dal presupposto che, anche in assenza di un sistema di responsabilità oggettiva, il diritto alla detrazione Iva sugli acquisti di merci poi rivendute in esenzione di imposta può essere negato dall’Amministrazione finanziaria nel caso in cui si dimostri che il cedente sapeva o avrebbe dovuto sapere della sua partecipazione ad una frode, a nulla rilevando la circostanza che egli non ne abbia tratto beneficio. In sostanza, secondo il Fisco il fornitore è chiamato a rispondere dell’Iva non addebitata in fattura non soltanto nei casi in cui era pienamente consapevole della frode ideata dal finto esportatore, ma anche tutte le volte in cui avrebbe dovuto intuire l’intento fraudolento.
A sostegno di questa tesi, generalmente, l’Amministrazione cita alcune pronunce giurisprudenziali di legittimità secondo cui l’obbligo del fornitore di assolvere successivamente l’Iva sui beni ceduti in esenzione di imposta può essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode. Pertanto, ove non riesca a provare la sua buona fede e di aver adottato un comportamento prudente e diligente, il fornitore rimane esposto al recupero dell’Iva, a prescindere dal conseguimento di un vantaggio economico o finanziario (Cassazione, sentenze 176/2015, 7389/2012, 12751/2011).

Doing business in San Marino

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