Criptovalute, rischi dal Far West di 50mila nuovi token al giorno
8 Ottobre 2025
Il Sole 24 Ore 17 Settembre 2025 di Vito Lops
Nascono come funghi. Il numero di criptovalute in circolazione ha superato quota 21 milioni. Ogni giorno vengono lanciati e resi scambiabili all’interno di un mercato composto da 850 exchange su scala globale non sempre regolamentati, circa 50mila token digitali (fonte Coinmarketcap). La capitalizzazione del settore ha superato per la prima volta nella storia 4mila miliardi di dollari (quattro volte il valore delle azioni quotate a Piazza Affari). Se si escludono però i due progetti più istituzionali, ovvero Bitcoin (capitalizza 2.300 miliardi) ed Ethereum (500 miliardi) e se escludiamo anche la quota di mercato delle principali stablecoin agganciate al dollaro (170 miliardi per Usdt e 73 miliardi per Usdc), possiamo dedurre che i restanti circa 1.000 miliardi sono oggi posizionati su token di vario genere. Dalle superspeculative memecoin a progetti tecnologici sulla carta più seri (come le blockchain Solana, Sui, ecc.) passando per schemi Ponzi conclamati. Un far west di token che, al di là delle intenzioni in buona o mala fede di partenza dei creatori, nascondono in ogni caso un peccato originale che mal si concilia con una logica di investimento di lungo periodo. Perché spesso fanno leva sulla confusione tra il concetto di token e quello di azione. Tra questi due strumenti finanziari c’è un enorme differenza. Un token è emesso da una piattaforma, una start up o una blockchain, dunque sembra naturale immaginare che possederlo equivalga, almeno in parte, a detenere una quota di quella realtà. Ma non è così, e l’equivoco può costare caro.
Le azioni rappresentano un diritto codificato: proprietà, voto, dividendi, partecipazione agli utili e, in ultima istanza, alla liquidazione. Il valore dell’azione è legato alla capacità dell’azienda di generare utili e distribuirne una parte agli azionisti.
Un token, invece, non rappresenta proprietà della blockchain o della società che lo emette, salvo rari casi di security token regolamentati.
Il punto cruciale è che la crescita tecnologica o commerciale di un progetto non implica necessariamente l’aumento di valore del token associato. Anche perché c’è un altro aspetto da considerare: il macigno della diluizione. Spesso i token sono pre-minati e distribuiti in grandi quantità ai fondatori e ai primi investitori. Col passare del tempo, quando questi soggetti decidono di monetizzare, immettono grandi volumi sul mercato, facendo pressione sui prezzi. A differenza del mercato azionario, dove i lock-up e le regole di disclosure sono stringenti, nell’universo cripto la trasparenza è minima e la gestione dell’offerta è a totale discrezione del team di sviluppo. Inoltre, la tokenomics di molti progetti consente emissioni teoricamente illimitate di nuovi token, utilizzati per finanziare le spese operative, pagare gli sviluppatori o incentivare gli utenti tramite programmi di reward. Questa creazione costante di offerta funziona di fatto come una “stampante monetaria interna” e genera una diluizione continua per chi già detiene il token, minando le prospettive di rivalutazione nel lungo termine.
Un ulteriore aspetto da chiarire è la dinamica della quotazione dei token sugli exchange. A differenza delle Ipo tradizionali, che rappresentano l’ingresso regolamentato di una società sul mercato e impongono vincoli di trasparenza e lock-up agli investitori iniziali, nel mondo cripto il listing funziona spesso come una exit strategy per i venture capital. I fondi che hanno acquistato grandi quantità di token a prezzi irrisori nelle fasi di seed o private sale, quando il progetto era ancora embrionale, sfruttano il momento della quotazione per iniziare a liquidare le loro posizioni. Il retail si trova così a comprare a valutazioni già gonfiate, senza conoscere con precisione la distribuzione dei token né i piani di vesting degli insider. Il risultato è che, nei mesi successivi al listing, la pressione in vendita dei primi investitori schiaccia il prezzo, mentre la domanda di nuovi utenti non è sufficiente a compensare. Ecco perché per molti token il debutto sugli exchange non segna l’inizio di una fase di crescita, ma piuttosto il momento in cui il rischio viene trasferito dai professionisti agli investitori al dettaglio.Per questo, chi investe in token deve avere consapevolezza della propria scelta: non sta comprando un pezzo di un’azienda,ma spesso sta remunerando – e a caro prezzo – i finanziatori privati della prima ora.