Clausole dei contratti senza registro

9 Novembre 2017

Il Sole 24 Ore 17 Ottobre 2017 di  Angelo Busani

Compravendite immobiliari. La Ctp di Pesaro spiega che l’imposta riguarda l’atto e non i suoi contenuti

Fuori dall’imposizione delegazioni di pagamento, penali e caparre

La clausola che, in un contratto di compravendita immobiliare, contiene una delegazione di pagamento non è autonomamente soggetta a imposta di registro; questa, infatti, concerne il contratto di compravendita e non la clausola contenuta. Lo ha deciso la Commissione tributaria provinciale di Pesaro nella sentenza 951/2017 .
La pronuncia, nonostante sia assai laconica (e un po’ superficiale: menziona il Dpr 634/1972, quando la legge di registro è oggi contenuta nel Dpr 131/1986) e provenga da una Corte di primo grado, è importante non solo perché non esistono precedenti (sebbene la clausola di delegazione sia frequentissima) ma anche perché consente di affrontare l’impervio e mai approfondito tema della tassazione delle singole clausole di cui un contratto si compone.
La clausola di delegazione, in particolare, è quella (articolo 1268 e seguenti del Codice civile) con la quale il venditore Tizio (debitore della banca Alfa a seguito di un mutuo) vende la sua casa all’acquirente Caio, delegandogli di pagare il prezzo dovuto, in tutto o in parte, alla banca Alfa ad estinzione del mutuo contratto da Tizio.
Questa pattuizione, contenuta in un atto a sé, genererebbe senz’altro l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota del 3% (articolo 9, Tariffa Parte I allegata al Dpr 131/1986, testo unico del registro). Ma che succede se l’accordo di delegazione è una mera clausola di un contratto?
L’articolo 21 del Dpr 131/1986 dispone che se un atto contiene più negozi, ciascuno di essi ha una propria tassazione (comma 1) a meno che le varie “disposizioni” del contratto siano intrinsecamente connesse (comma 2), caso nel quale si tassa la più “costosa” fiscalmente (come nel caso della permuta). Infine, l’articolo 21, comma 3, esonera da tassazione le clausole di quietanza e di accollo contestuali ad altre pattuizioni.
Quest’ultima norma è assai importante: essa non dice che quietanze e accolli, se contestuali, sono clausole intrinsecamente connesse al contratto cui accedono; né rappresenta una norma eccezionale rispetto alla regola del primo comma in tema di individuale tassazione dei vari negozi contenuti in un atto. La norma del comma 3 vuol significare che le singole clausole di un contratto sono irrilevanti agli occhi dell’imposta di registro, poiché questa imposta riguarda gli “atti” (articolo 1, Dpr 131/1986) e non le loro “clausole”. Quindi, quando il legislatore contempla accolli e quietanze nel comma 3 dell’articolo 21, intende evidentemente compiere con tale norma un’opera chiarificatrice relativa a clausole di frequente ricorrenza, sgombrando il campo una volta per tutte da appetiti che il fisco intenda, caso per caso, manifestare.
Questo ragionamento porta a concludere che qualsiasi singola clausola di un contratto non è in sé rilevante per l’imposta di registro, a meno che la legge non lo imponga espressamente. Divengono quindi in particolare irrilevanti la clausola penale, la caparra o multa penitenziale (la clausola con cui si “paga” il recesso da un contratto ex articolo 1386 del Codice civile) e le clausole di indennizzo, frequenti nelle compravendite immobiliari di notevoli dimensioni, nonché nelle cessioni di partecipazioni e di aziende; e ciò anche se la Cassazione ha espresso una frettolosa decisione nel senso della loro tassabilità nella sentenza n. 17948 del 19 ottobre 2012.

Doing business in San Marino

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