L’hub può essere una «stabile»
10 Marzo 2017
Il Sole 24 Ore 24 Febbraio 2017 di Eugenio Della Valle e Dario De Santis
I chiarimenti delle Entrate. Se l’attività di vendita è effettuata all’estero ma i beni si trovano nel centro di immagazzinamento in Italia
La risoluzione 4/E del 2017, oltre a rappresentare la prima risposta dell’agenzia delle Entrate a una istanza di interpello sui nuovi investimenti, risulta di estrema importanza quanto alle circostanze in virtù delle quali si ritiene sussistere una stabile organizzazione in Italia di una società non residente allorquando l’head office effettua vendite di beni che si trovano su suolo italiano direttamente dall’estero.
In particolare, viene affermato che, se l’impresa non residente vende i beni che si trovano in Italia in un proprio centro di immagazzinamento e di distribuzione gestito da terzi (le stesse conclusioni dovrebbero valere anche nel caso di deposito di proprietà di terzi) prima che gli stessi vengano estratti dal medesimo hub logistico (che funge anche da deposito Iva e doganale), l’hub si configura quale stabile organizzazione materiale anche se l’attività di vendita viene svolta interamente all’estero dalla stessa impresa non residente o da sue consociate.
A questa conclusione l’Agenzia perviene alla luce delle indicazioni contenute nel Commentario Ocse all’articolo 5 del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni ritenendo che un deposito italiano di cui una società estera abbia la disponibilità possa essere considerato a certe condizioni una «sede fissa d’affari» nel territorio dello Stato nel caso in cui tale sede venga utilizzata per l’esercizio della propria attività di impresa.
Secondo le disposizioni convenzionali del predetto articolo 5, cui si conforma l’articolo 162 del Dpr 917/1986, infatti, costituisce un caso in cui non si configura la stabile organizzazione, tra gli altri, quello in cui si fa uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di merci appartenenti all’impresa. Per cui il magazzino configura una stabile organizzazione materiale nel caso in cui la società non residente svolga attività di deposito, di esposizione o di consegna di merci di proprietà anche di altre imprese ovvero nel caso in cui venga svolta qualsiasi altra attività (non preparatoria o ausiliaria) quale ad esempio l’attività commerciale di raccolta degli ordini nonché di vendita dei propri prodotti.
Cosicché, secondo l’Agenzia, al fine di escludere che un deposito venga considerato stabile organizzazione è rilevante la circostanza che «tutte le operazioni» di cessione di prodotti finiti che la società non residente intende realizzare direttamente dall’estero siano precedute dalla fuoriuscita di tali prodotti dagli spazi di cui la stessa abbia la disponibilità.
In tal modo si ricollega la sussistenza di una stabile organizzazione al solo fatto che il bene si trovi in un luogo «a disposizione» della società estera nel momento in cui vengono poste in essere le «operazioni di vendita» con l’oggettiva difficoltà, che ciò comporta, di accertare che tutte le operazioni di cessione svolte all’estero siano eseguite dopo la predetta fuoriuscita.
Alla luce di tale interpretazione dell’Agenzia, onde evitare la presenza di una stabile organizzazione in Italia, dunque, occorre procedere alla estrazione dei prodotti dal luogo dove essi sono detenuti (con le conseguenti problematiche di corretta gestione di tali operazioni alla luce della nuova normativa applicabile dal prossimo 1° aprile alle estrazioni dei beni dai depositi Iva) ed essere certi che ogni operazione collegata alla vendita dei beni sia posta in essere successivamente a tale estrazione.
Risulterà quindi necessario rivedere le policy contrattuali di vendita dei gruppi esteri che utilizzano depositi italiani, sia doganali e/o Iva che non, nella consapevolezza di una non semplice gestione di tutte le operazioni di vendita post fuoriuscita e dei conseguenti rischi nel caso in cui non si riesca a dimostrare tale ultima circostanza.